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monaci, valletti, paggi, e molti gli portano i loro presenti, chi un vaso d’oro, chi un quadro, chi una borsa piena di ducati, e chi abiti e stoffe. Sull’ingresso vedi un busto di marmo bianco coronato di alloro; è Pietro Aretino. Aretino a dritta, Aretino a manca; guardate nelle medaglie d’ogni grandezza e d’ogni metallo sospese alla tappezzeria di velluto rosso: sempre l’immagine di Pietro Aretino. Morì a 65 anni, il 1557, e di tanto nome non rimase nulla. Le sue opere poco poi furono dimenticate, la sua memoria è infame; un uomo ben educato non pronunzierebbe il suo nome innanzi a una donna.

Chi fu dunque questo Pietro, corteggiato dalle donne, temuto dagli emuli, esaltato dagli scrittori, così popolare, baciato dal papa, e cavalcava a fianco di Carlo V? Fu la coscienza e l’immagine del suo secolo. E il suo secolo lo fece grande.

Machiavelli e Guicciardini dicono che l’appetito è la leva del mondo. Quello che essi pensarono, Pietro fu.

Ebbe da natura grandi appetiti, e forze proporzionate. Vedi il suo ritratto, fatto da Tiziano. Figura di lupo che cerca la preda. L’incisore gli formò la cornice di pelle e zampe di lupo; e la testa del lupo assai simile di struttura sta sopra alla testa dell’uomo. Occhi scintillanti, narici aperte, denti in evidenza per il labbro inferiore abbassato, grossissima la parte posteriore del capo, sede degli appetiti sensuali, verso la quale pare che si gitti la testa, calva nella parte anteriore. Figlio di cortigiana, anima di re, dice lui. Legatore di libri, valletto del papa, miserie! I suoi bisogni sono infiniti. Non gli basta mangiare; vuole gustare; non gli basta il piacere; vuole la voluttà; non gli basta il vestire; vuole lo sfarzo; non gli basta arricchire, vuole arricchire gli altri, spendere e spandere. E a chi se ne maraviglia risponde: «ebbene, che farci a questo? Se io son nato per vivere così,