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quanto intesi la santa croce, componendo ladramente merito scusa, e non quegli che lambiccano l’arte de’ greci e de’ latini.» A tredici anni rubò la madre e fuggì a Perugia, e si allogò presso un legatore di libri. A diciannove anni attirato dalla fama della corte di Roma e che tutti vi si facevano ricchi, vi giunse che non aveva un quattrino, e fu ricevuto domestico presso un ricco negoziante, Agostino Chigi, e poco poi presso il Cardinale di San Giovanni. Cercò fortuna presso papa Giulio, e non riuscitogli, vagando e libertineggiando per la Lombardia, da ultimo si fe’ cappuccino in Ravenna. Salito al pontificato Leone X, e concorrendo a quella corte letterati, buffoni, istrioni, cantori, ogni specie di avventurieri, gli parve lì il suo posto, smise l’abito e corse a Roma, e vestì la livrea del papa, divenne suo valletto. Spiritoso, allegro, libertino, sfacciato, mezzano, in quella scuola compì la sua educazione e la sua istruzione. Imparò a chiudere in quattordici versi le sue libidini e le sue adulazioni, e le sue buffonerie, e ne fe’ traffico e ne cavò di bei quattrini. Ma era sempre un valletto e poco gli era a sperare in una corte, dove s’improvvisava in latino. Armato di lettere di raccomandazione, va a Milano, a Pisa, a Bologna, a Ferrara, a Mantova, e si presenta a principi e monsignori sfacciatamente, con aria e prosunzione di letterato. Studia come una donna l’arte di piacere, e aiuta la ciarlataneria con la compiacenza. «A Bologna mi fu cominciato a essere donato; il vescovo di Pisa mi fe’ fare una casacca di raso nero ricamata in oro, che non fu mai la più superba; presso il signor marchese di Mantova sono in tanta grazia, che il dormir e il mangiar lascia per ragionar meco, e dice non avere altro piacere, ed ha scritto al cardinale cose di me che veramente onorevolmente mi gioveranno, e son io regalato di trecento scudi. Tutta la corte mi adora, e par beato chi può avere uno de’ miei versi, e quanti