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sia, come se ne vergognassero. Ma il Guicciardini ne fa un codice, fondato sul divorzio tra l’uomo e la coscienza, e sull’interesse individuale. È il codice di quella borghesia italiana, tranquilla, scettica, intelligente e positiva, succeduta a’ codici d’amore e alle regole della cavalleria.

Ma il Guicciardini con tutta la sua saviezza trovò un altro più savio di lui, e volendo usare Cosimo a benefizio suo, avvenne che fu lui strumento di Cosimo. Così finì la vita come il Machiavelli, nella solitudine e nell’abbandono. Ebbe anche lui le sue illusioni e i suoi disinganni, meno nobili, meno degni della posterità, perchè si riferivano al suo particolare. Ritirato nella sua villa d’Arcetri, usò gli ozii a scrivere la Storia d'Italia.

Se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro più importante che sia uscito da mente italiana. Ciò che lo interessa, non è la scena, la parte teatrale o poetica, sulla quale facevano i loro esercizii rettorici il Giovio, il Varchi, il Giambullari e gli altri storici. I fatti più maravigliosi o commoventi sono da lui raccontati con una certa sprezzatura, come di uomo che ne ha viste assai e non si maraviglia e non si commuove più di nulla. Non ha simpatie e antipatie, non ha tenerezze e indignazioni, e neppure ha programmi e preconcetti intorno a’ risultati generali dei fatti e alle sorti del suo paese. Il suo intelletto chiaro e tranquillo è chiuso in sè, e non vi entra nulla dal di fuori che lo turbi o lo svii. È l’intelletto positivo, con quelle qualità che abbiamo notate, e che in lui sono egregie, la prudenza naturale, la dottrina, l’esperienza, il naturale buono, e la discrezione. Maravigliosa è soprattutto la sua discrezione nel non riconoscere principii, nè regole assolute, e giudicare caso per caso, guardando in ciascun fatto la sua individualità, quel complesso di circostanze sue proprie, che lo fanno esser quello e non un altro; dov’è la vera di-