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Ma furono brevi illusioni. C’era nel suo spirito la bella immagine di un mondo morale e civile, e di un popolo virtuoso e disciplinato, ispirata dall’antica Roma: ciò che lo fa eloquente ne’ suoi biasimi e nelle sue lodi. Ma era un mondo poetico troppo disforme alla realtà, ed egli medesimo è troppo lontano da quel tipo, troppo simile per molte parti a’ suoi contemporanei. Ond’è che la sua vera Musa non è l’entusiasmo, è l’ironia. La sua aria beffarda congiunta con la sagacia dell’osservazione lo chiariscono uomo del risorgimento. De’ Principi ecclesiastici scrive: «Costoro soli hanno Stati e non gli difendono, hanno sudditi e non gli governano, e gli Stati per essere indifesi non sono lor tolti, ed i sudditi per non essere governati non se ne curano, nè pensano se possono alienarsi da loro. Essendo quelli retti da cagione superiore alla quale la mente umana non aggiunge, lascerò il parlarne; perchè essendo esaltati e mantenuti da Dio, sarebbe ufficio di uomo temerario e presuntuoso il discorrerne.» In tanta riverenza di parole non è difficile sorprendere sulle labbra di chi scrive quel piglio ironico che trovi nei contemporanei. Famosi sono i suoi ritratti per l’originalità e vivacità dell’osservazione. Dei francesi e spagnuoli scrive: «Il francese ruberia con l’alito, per mangiarselo e mandarselo a male con colui a chi ha rubato: natura contraria dello spagnuolo, che di quello che ti ha rubato, mai ne vedi nulla». Da questo profondo ed originale talento di osservazione, da questo spirito ironico uscì la Mandragola, l’alto riso, nel quale finirono le sue illusioni e i suoi disinganni.

Dopo i primi tentativi idillici la commedia si era chiusa nelle forme di Plauto e di Terenzio. L’Ariosto scrivea per la corte di Ferrara; il Cardinale di Bibbiena scrivea per le corti di Urbino e di Roma. Vi si rappresentavano anche con molta magnificenza traduzioni dal lati-