Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/84


― 74 ―

porta che la superficie sia scabra, purchè ci sia sotto qualche cosa che si mova. Perciò è sempre evidente, spesso arido e rozzo. L’Italia ha già il suo poeta; non ha ancora il suo artista.


IV.


LA PROSA.


Se i rimatori o dicitori in rima aiutarono molto alla formazione del volgare, non minore opera vi diedero i bei favellatori, o favoleggiatori. Favella viene da fabella, favoletta, e perciò le lingue moderne furon dette favelle, lingue de’ favoleggiatori. Costoro nelle corti e ne’ castelli raccontavano novelle, come i rimatori poetavano d’amore. Così gl’inizii della nostra lingua furono,

Versi d’amore e prose da romanzo.

Come i versi, così le prose aveano già tutto un repertorio venuto dal di fuori. I rimatori attingevano nel codice d’amore; i novellatori o favellatori attingevano ne’ romanzi della Tavola rotonda o di Carlomagno. Il cavaliere errante era il tipo convenzionale degli uni e degli altri.

Questa letteratura non produsse altro che traduzioni, come sono i Conti di antichi Cavalieri, la Tavola rotonda, e i Reali di Francia: Tristano, Isotta, Lancillotto, il Re Meliadus, il profeta Merlino, Carlomagno, Orlando erano gli eroi dell’immaginazione popolare. Oggi ancora i cantastorie napoletani raccontano ad una plebe avida di fatti maravigliosi le geste di Orlando e di Rinaldo. Anche la storia romana prese questa forma. Un codice antico ha per titolo: Lucano tradotto in prosa, ed è la versione del Giulio Cesare, romanzo in versi rimati di Jaques de Forest. La guerra tra Cesare e Pompeo è narrata con colori e particolari tolti alla vita cavalleresca. Ci-