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così coerente nelle sue parti, così armonico nelle sue forme, così personale e a un tempo così umano. Esso è l’accento lirico del medio evo colto nelle sue astrazioni e nelle sue visioni, la voce dell’umanità a quel tempo. Il ministero di questo mondo religioso-filosofico è la Morte gentile, come passaggio dall’ombra alla luce, dal fantasma alla realtà, dalla tragedia alla commedia, o, come dice Dante alla pace. La morte è il principio della vita, è la trasfigurazione. Perciò il vero centro di questa lirica, la sua vera voce poetica, è il Sogno della morte di Beatrice, là dove sono in presenza questa vita e l’altra, e mentre il sole piange, e la terra trema, gli Angioli cantano osanna e Beatrice par che dica: Io sono in pace. Ci è la terra co’ suoi dolori e il Cielo con le sue estasi, il mondo lirico nel momento misterioso della sua unità. Non credo che la lirica del medio evo abbia prodotto niente di simile a questo sogno di Dante, di una rara perfezione per chiarezza d’intuizione, per fusione di tinte, per profondità di sentimento, per correzione di condotta e di disegno, per semplicità e verità di espressione.
Ma se questo mondo logicamente è uno e concorde, esteticamente è scisso, perchè non è insieme terra e cielo, ma è ora l’uno, ora l’altro, imperfetti ambidue. Il fantasma è spesso simile più ad un’allegoria, che ad una realtà, ed è stazionario, senza successione e senza sviluppo, senza storia. La realtà è pura scienza, in forma scolastica. Si può dire che quando in questo mondo comincia la realtà, allora appunto muore la poesia, s’inaridisce la fantasia e il sentimento. È un difetto organico di questo mondo, che resiste a tutti gli sforzi dell’arte, resiste a Dante.
D’altra parte Dante vi si mostra più poeta che artista. Quel modo è per lui cosa troppo seria, perchè possa contemplarlo col sereno istinto dell’arte. Poco a lui im-