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nel regno musicale dell’indefinito. Beatrice è un réve, un sogno, una visione. La stessa sua morte è un sogno, o, come dice Dante, una fantasia, accompagnata di particolari patetici e drammatici, perchè il poeta è vittima de’ suoi fantasmi, e vive entro a quel mondo e ne sente e riflette tutte le impressioni. Beatrice muore, perchè questa vita nojosa
Non era degna di sì gentil cosa,
e tornata gloriosa nel cielo, diviene spiritual bellezza grande, che spande per lo cielo luce d’amore e fa la maraviglia degli Angioli. Questa bellezza spirituale, o, come dice Dante altrove, luce intellettual piena d’amore, è il mondo lirico realizzato nell’altra vita, dove il fantasma sparisce, e la verità ti si porge nel suo splendore intellettuale, pura intelligenza, bellezza spirituale, scorporata. Il fantasma, quella mezza realtà a contorni vaghi e indecisi, più visibile nelle impressioni e ne’ sentimenti che nelle immagini, non era che il presentimento, il velo, la forma preparatoria di questo regno del puro spirito, era l’ombra dello spirito. Ora la luce intellettuale dissipa ogni ombra: non hai niente più d’indeciso, niente più di corporeo: sei nel regno della filosofia, dove tutto è precisione e dommatismo, tutto è posto con chiarezza, e discorso a modo degli scolastici. E poichè la filosofia non è potuta divenire virtù, poichè in terra essa è proscritta, rimane una realtà puramente scientifica e dottrinale. L’impressione ultima è che la terra è il regno delle ombre e de’ fantasmi, la selva dell’ignoranza e del vizio, la tragedia che ha per sua inevitabile fine la morte e il dolore, e che la realtà, l’eterna e divina Commedia, è nell’altro mondo.
Nè prima, nè poi, fu immaginato un mondo lirico così vasto nel suo ordito, così profondo nella sua concezione.