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astratta e anonima del Trovatore, divenuta innanzi alla filosofia un’idea platonica, l’esemplare di ogni bellezza e di ogni virtù, eccola qui persona viva: è Beatrice, quella angeletta scesa dal cielo che annunzia alle genti il suo arrivo e racconta la sua bellezza:

Ciascuna stella negli occhi mi piove
Della sua grazia e della sua virtute.

Ma questo lavoro di trasformazione non va così innanzi, che il concetto sia come seppellito e dimenticato nell’immagine, miracolo dell’arte greca; nè questo avviene per manco di calore e di fantasia. Dante è così immedesimato con quel suo mondo intellettuale e mistico, che la sua fantasia non può oltrepassarlo, non può materializzarlo. In questa dissonanza può capitare l’artista, a cui il contenuto sia indifferente, e che intenda alla perfezione del modello, non il Poeta che ha un culto per il suo mondo e vi si chiude, e ne fa la sua regola e il suo limite. Dante non può paganizzare quel mondo dello spirito, appunto perchè esso è il suo spirito, il suo mondo il suo modo di sentire e di concepire. La sua immagine è ricordevole e trascendente, e appena abbozzata è già scorporata, fatta impressione e sentimento. Non descrive: non può fissare e determinare l’immagine, come quella a cui l’intelletto non giunge. Gli sta innanzi un non so che, luce intellettuale, superiore all’espressione, visibile non in sè stessa ma nelle sue impressioni. Perciò esprime non quello che ella è, ma quello che pare. Ciò che è più chiaro innanzi alla sua immaginazione, non è il corpo, ma lo spirito, non è l’immagine, ma il suo parere, l’impressione:

Ciò ch’ella par, quando un poco sorride,
     Non si può dicer, nè tenere a mente:
     Sì è novo miracolo e gentile.