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sentazione, se non in forma allegorica, che aggiunge una nuova difficoltà ad un contenuto così in sè stesso astruso e scientifico.

I contemporanei sentirono la difficoltà e credettero vincerla con la rettoria, ornando quei concetti di vaghi fiori. Anche Dante credeva rendere poetica la filosofia, dandole una bella faccia. Certo, questo era un progresso; ma siamo ancora al limitare dell’arte, nel regno dell’immaginazione. Guinicelli, Cino, Cavalcanti non possono attirare la nostra attenzione, e neppur Dante, ancorchè dotato di un’immaginazione così potente. Anzi egli riesce meno di questi suoi predecessori nell’arte dell’ornare e del colorire, perchè quelli vi pongono il massimo studio, non essendo il mondo da essi rappresentato che un gioco d’immaginazione, dove a Dante quel mondo è lui stesso, parte del suo essere, e che ha la sua importanza in sè stesso: ond’egli è sobrio, severo, schivo del gradire, e spesso nudo sino alla rozzezza. E non corre agli ornamenti, come mezzo rettorico e a fine di ornare e di lisciare, ma per rendere palpabile ed evidente il suo concetto.

Ma Dante vince in gran parte la difficoltà appunto per questo, che quel mondo è vita della sua vita e anima della sua anima. Esso opera non pure sulla sua mente, ma su tutto il suo essere. Questa sua fede assoluta in quel mondo non è però sufficiente a farne un poeta. La fede è la base, il sottinteso, la condizione preliminare e necessaria della poesia, ma non è la poesia. Il poeta dee essere un credente, ma non ogni credente è poeta; può essere un Santo, un Apostolo, un Filosofo. Dante non fu il santo, nè il filosofo del suo mondo; fu il poeta. La fede svegliò le mirabili facoltà poetiche che avea sortito da natura.

Dante ha in supremo grado la principale facoltà di un poeta, la fantasia, che non si vuol confondere con l’im-