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concetto, la forma delle sue poesie. E quanto alla parte tecnica, all’uso della lingua, del verso e della rima, nel suo libro de Vulgari eloquio mostra che ne intendeva tutt’i più riposti artificii. I contemporanei trovavano in queste poesie il perfetto esempio della loro scuola poetica: la maggior dottrina sotto la più leggiadra veste rettorica.
Il mondo lirico di Dante è la stessa materia che s’era ita finora elaborando, con maggior varietà e con più chiara coscienza. Il Dio di questo mondo è Amore, prima con le ammirazioni, i tormenti e le immaginazioni della giovanezza, poi con un misticismo ed un entusiasmo filosofico. Amore non può operare che ne’ cuori gentili: perciò gli amanti sono chiamati fini e cortesi. Gentilezza non nasce da nobiltà o da ricchezza, ma da virtù. E però le virtù sono suore d’amore e fanno star lucente il suo dardo finchè sono onorate in terra. Ma la virtù è in pochi, e l’amore è perciò di pochi vivanda. L’obbietto dell’amore è la bellezza, non il bello di fuori, le parti nude, ma il dolce pomo, concesso solo a chi è amico di virtù. La bellezza non si mostra se non a chi la intende: amore è chiamato dagli antichi intendanza, e Dante non dice sentire amore, ma avere intelletto d’amore. Ad appagare l’amore basta il vedere, la contemplazione. Vedere è amore, amore è intendere.
E chi la vede, e non se n’innamora,
D’amor non averà mai intelletto.
Le intelligenze celesti movono le stelle intendendo:
Voi che intendendo il terzo ciel movete.
Dio move l’universo pensando:
Costei pensò chi mosse l’universo.
Nè altro è amore nell’uomo che nova intelligenza,