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     Dicendo lor: diletta mia novella:
     Ponete mente almen com’io son bella.

C’era dunque nell’intenzione di Dante di bandire i veri della scienza ora nella forma diretta del ragionamento, ora sotto il velo dell’allegoria, ma in modo che la poesia quando anche non fosse compresa da’ più, avesse un valore in sè stessa, fosse bella e dilettasse. Era la teoria della nuova scuola nella sua più alta espressione, una coscienza artistica più chiara e più sviluppata. Il rispetto della verità scientifica è tale, che Dante si domanda, come essendo Amore non sostanza, ma accidente, possa egli farlo ridere e parlare, come fosse persona. E adduce a sua difesa, che i rimatori, che fanno versi in volgare hanno gli stessi privilegi de’ poeti, nome che dà a’ latini, i quali, come Virgilio, Ovidio, Lucano, Orazio, diedero moto e parole alle cose inanimate: il che egli chiama rimare sotto vesta di figura o di colore rettorico, qualificando rimatori stolti quelli che domandati non sapessero dinudare le loro parole da cotal vesta. Onde si vede che Dante e Cavalcanti, ch’egli qui chiama il suo primo amico, spregiavano e questi rimatori stolti, che usavano rettorica vuota di contenuto1, e quelli che ti davano un contenuto scientifico nudo, senza rettorica. Qui è tutta la nuova scuola poetica, rimasa per molti secoli l’ultima parola della critica italiana: ciò che il Tasso chiamò condire il vero in molli versi.

Con queste teorie, con queste abitudini della mente parecchie canzoni e sonetti sono ragionamenti con lume di rettorica, concetti coloriti. Di tal natura è la Canzone sulla gentilezza o nobiltà:

Le dolci rime d’amor ch’i’ solía.

  1. Dice così: questo mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente.