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stile nobile e maestoso, puro artificio meccanico. È un comico che a forza di ripetizione si esaurisce e diviene sfacciato e prosaico. Il capitolo muore col Berni e la novella col Lasca.

È il Decamerone in putrefazione. Il difetto del capitolo è di cercare i suoi mezzi comici più nelle combinazioni astratte dello spirito che nella rappresentazione viva della realtà; è lo stesso difetto del petrarchismo; il Petrarca del capitolo è Francesco Berni, e i petrarchisti sono i suoi imitatori, che a forza di cercar rapporti e combinazioni escono in freddure e sottigliezze. Il difetto della novella è la sensualità prosaica e la vana curiosità; senza ideali e senza colori e in una forma spesso pedantesca e sbiadita. E capitolo e novella hanno poi un difetto comune, la superficialità, quel lambire appena la esteriorità dell’esistenza e non cercare più addentro, come se il mondo fosse una serie di apparenze fortuite, e non ci fosse uomo e non ci fosse natura. Essendo tutto un giuoco d’immaginazione, a cui rimane estraneo il cuore e la mente, la forma comica nella quale si dissolve è la caricatura degradata sino alla pura buffoneria. Lo spirito volge in giuoco anche quel giuoco d’immaginazione, intorno a cui si travagliarono con tanta serietà il Boccaccio, il Sacchetti, il Magnifico, il Poliziano, il Pulci, il Berni, il Lasca, divenuto nel Furioso il mondo organico dell’arte italiana, e traduce l’ironia ariostesca in aperta buffoneria, avvolgendo in una clamorosa risata tutti gli idoli dell’immaginazione, antichi e nuovi. La nuova arte, uscita dalla dissoluzione religiosa, politica e morale del medio evo, e rimasta nel vuoto innamorata di solo sè stessa, come Narciso, va a morire per mano di un frate sfratato, di Teofilo Folengo, muore ridendo di tutto e di sè stessa. La Maccaronea del Folengo chiude questo ciclo negativo e comico dell’arte italiana.

Ma ci era anche un lato positivo. Mentre ogni spe-