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satiri e uomini salvatici, o in forma porcile, e morti risuscitati, e asini e leoni in conversazione, e fate e negromanti e astrologi. Queste ch’egli chiama favole, si accompagnano con altri racconti osceni o faceti, e come egli dice, ridicolosi, e sono le solite burle fatte alla gente semplice e grossa, o com’egli dice materiale. Il pretesto è uno scopo di volgare morale o prudenza, un fabula docet, ma in fondo l’autore mira a render piacevoli le sue Notti, eccitando il riso o movendo la curiosità. Non mostra alcuna intenzione letteraria, salvo nelle descrizioni, una goffa imitazione del Boccaccio; chiama egli medesimo basso e dimesso il suo stile, e dice che le invenzioni non son sue, ma suo è il modo di raccontarle. Non hai qui dunque contorcimenti, lenocinii, artificii, eleganze; è un narrare alla buona e a corsa, in quella lingua comune italiana, di forma più latina che toscana, mescolata di parole venete, bergamasche e anche francesi, come follare (fouler) per calpestare. Non si ferma sul descrivere o particolareggiare, non bada ai colori, salta le gradazioni, va diritto e spedito, cercando l’effetto nelle cose, più che nel modo di dirle. E le cose, non importa se di lui o di altri, contengono spesso concetti molto originali, come Nerino, lo studente portoghese, che fa le sue confidenze amorose al suo maestro Brunello, ch’egli non sa essere il marito della sua bella onde Molière trasse il pensiero della sua École des femmes; o l’asino che coi suoi vanti la fa al leone, o i bergamaschi che con la loro astuzia la fanno ai dottori fiorentini; o la vendetta dello studente burlato dalle donne; o Flaminio che va in cerca della morte; o le nozze del diavolo. Il successo fu grande: si fecero in poco tempo del libro più di venti edizioni; e di molte favole è rimasta anche oggi memoria. L’osceno, il ridicolo, il fantastico era il cibo del tempo: poi quella forma scorretta, imperfetta, ma senza frasche e spedita soprattutto nel