corpo, e della vedova non mi curo più niente.Oh che vecchia paura ebb’io per un tratto! e mi si arricciano i capelli, quando vi ci penso, sicchè pertanto licenzia e ringrazia Zoroastro. Lo Scheggia, udite le di colui parole, diventò piccino piccino, e parendogli rimaner scornato, disse: Oimè, Gian Simone, che è quello che voi mi dite? Guardate che il negromante non si crucci. Che diavol di pensiero è il vostro? Voi andate cercando Maria per Ravenna; io dubito fortemente, come Zoroastro intenda questo di voi, ch’egli non si adiri tenendosi uccellato e che poi non vi faccia qualche strano gioco: bella cosa e da uomini dabbene mancar di parola! Tanto è, Gian Simone, egli non è da correrla così a furia: s’egli vi fa diventar qualche animalaccio, voi avrete fatto poi una bella faccenda. Colui era già per la paura diventato nel viso un panno lavato; e rispondendo allo Scheggia, disse: per lo sangue di tutt’i diavoli che fo giuro d’assassino, che domattina la prima cosa, io me ne voglio andare agli Otto, e contare il caso, e poi farmi bello e lodare, non so chi mi tiene che non vada ora. Tosto che lo Scheggia sentì ricordare gli Otto, diventò nel viso di sei colori, e fra sè disse: Qui non è il tempo da battere in camicia, facciamo che il diavolo non andasse a processione; e a colui rivolto, dolcemente prese a favellare e disse: Voi ora, Gian Simone, entrate bene nell’infinito, e non vorrei per mille fiorini d’oro in beneficio vostro, che Zoroastro sapesse quel che voi avete detto. Or non sapete che l’ufficio degli Otto ha potere sopra gli uomini, e non sopra i demonii? Egli ha mille modi di farvi, quando voglia gliene venisse, capitar male, che non si saprebbe mai». Cosa manca al Lasca? La mano che trema. Scioperato, spensierato, balzano, vispo e svelto, ci è in lui la stoffa di un grande scrittor comico; ma gli manca il culto e la serietà dell’arte, e abbraccia e tira giù come viene, e lascia a mezzo le cose, e si arresta