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e che tutta la macchina mondana fosse per disciogliersi.» Tutta la novella è scritta in questa prosa spedita e animata e si legge volentieri, ma il sentimento comico vi fa difetto, nè vi supplisce una lingua poetica e senza colore locale. Gran vantaggio ha sopra di lui il Lasca, non di spirito o di coltura o di arte, ma di lingua, essendo il dialetto toscano, ricco di sali e di frizzi e di motti e di modi comici, un istrumento già formato e recato a perfezione dal Boccaccio al Berni. Materia ordinaria del Lasca è la semplicità degli uomini tondi e grossi fatta giuoco de’ tristi e degli scrocconi. È la novella ne’ termini che l’aveva lasciata il Boccaccio. Il suo Calandrino è Gian Simone o Gasparri, rigirati e beffati da scrocconi, che si prevalgono della loro credulità. Il Boccaccio mette in iscena preti e frati, il Lasca astrologi, guardando meno alle superstizioni religiose, che alle credenze popolari nell’orco, tregenda e versiera, negli spiriti e ne’ diavoli. Oggi abbiamo i magnetisti e gli spiritisti; allora c’erano i maghi o gli astrologi, con la stessa pretensione di conoscere l’avvenire e di guarire gl’infermi, e conoscere i fatti altrui, e farti comparire i morti o le persone lontane: materia inesausta di ridicolo, non altrimenti che i miracoli de’ frati. Se il Boccaccio mette in gioco il mondo soprannaturale della religione, il Lasca si beffa del mondo soprannaturale della scienza. Il fantastico regna ancora qua e colà in Italia; ma a Firenze era morto sotto l’ironia del Boccaccio, del Sacchetti, di Lorenzo e del Pulci, nè i piagnoni poterono risuscitarlo. Il nostro Lasca non ha lo spirito e la finezza del Boccaccio, non ha ironia ed è grossolano nelle sue caricature, ma è facile, pieno di brio e di vena, evidente, e trova nel dialetto immagini e forme comiche belle e pronte, senza che si dia la pena di cercarle. Ecco magnifica pittura dell’astrologo Zoroastro: «Era uomo di trentasei in quarant’anni, di grande e di ben fatta persona, di