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tendenze licenziose e volgari. Perciò hai da una parte il comico e dall’altra il fantastico.
Nel comico, salvo i toscani, ne’ quali supplisce la grazia del dialetto, i novellieri mostrano pochissimo spirito. Una delle novelle meglio condotte è la scimia del Bandello, la quale si abbiglia co’ panni di una vecchia morta, e par dessa, e spaventa quelli di casa. Il fatto è in sè comico, ma l’esposizione è arida e superficiale, e i sentimenti e le impressioni comiche ci sono appena abbozzate. C’è una novella di Francesco Straparola assai spiritosa d’invenzione, dove si racconta il modo che tenne un marito per rendere ubbidiente la moglie, e la sciocca imitazione fattane dal fratello, novella che suggerì al Molière la Scuola dei mariti. Ma di spiritoso non c’è che l’invenzione, forse neppur sua: così triviale e abborracciata è l’esposizione. Un villano che fa la scuola ad un astrologo è anche un bel concetto del Lando, ma scarso di trovati e situazioni comiche. Pure il Lando è scrittor vivace e rapido, e nelle descrizioni efficace e pittoresco. Il villano predice la pioggia; ma l’astrologo vede il cielo sereno. «Alzato il viso, guatava d’ogni intorno, e diligentemente ogni cosa contemplando, s’avvide essere il cielo tutto bello, il sole temperato, il monte netto da nuvoli, e appresso s’accorse che l’austro nel soffiare era dolcissimo, e cominciò attentamente a considerare, in qual segno fosse il sole e in qual grado, che cosa stesse nel mezzo del cielo, e qual segno stessegli in dritta linea opposto. Nè potendo in verun modo conoscere che pioggia dovesse dal cielo cadere, al villano rivolto disse con ira e con isdegno: Dio e la Natura potrebbono far piovere, ma la Natura sola non lo potrebbe fare». Sopravvenuta più tardi pioggia dirottissima, descrive le sue rovine e i suoi effetti in questo modo: «Rovinarono torri, sbarbicaronsi molte querce, caddero bellissimi palagi, tremò tutta la riviera dell’Adige, parve che il cielo cadesse,