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modo prodigioso. Accanto a’ capitoli e a’ romanzi moltiplicano le novelle. Il cantastorie diviene l’eroe della borghesia. E tutti hanno innanzi lo stesso vangelo, il Decamerone. Il petrarchismo era una poesia di transizione, che in questo secolo è un così strano anacronismo, come l’imitazione di Virgilio o di Cicerone. Ma il Decamerone portava già ne’ suoi fianchi tutta questa letteratura, era il germe che produsse il Sacchetti, il Pulci, Lorenzo, il Berni, l’Ariosto e tutti gli altri.
Quasi ogni centro d’Italia ha il suo Decamerone. Masuccio recita le sue novelle a Salerno, il Molza scrive a Roma il suo Decamerone, e il Lasca le sue Cene a Firenze, e il Giraldi a Ferrara i suoi Ecatommiti, o cento Favole, e Antonio Mariconda a Napoli le sue Tre giornate, e Sabadino a Bologna le sue Porretane, e quattordici novelle scrive il milanese Ortensio Lando, e Francesco Straparola scrive in Venezia le sue Tredici piacevoli notti, e Matteo Bandello il suo novelliere, e le sue diciassette novelle il Parabosco. A Roma si stampano le novelle del Cadamosto, da Lodi, e di Monsignor Brevio da Venezia. A Mantova si pubblicano le novelle di Ascanio de’ Mori, mantovano, e a Venezia escono in luce le sei giornate di Sebastiano Erizzo, e le dugento novelle di Celio Malespini, gentiluomo fiorentino, e i Giunti a Firenze pubblicano i Trattenimenti di Scipione Bargagli. Aggiungi la Giulietta di Luigi da Porto vicentino, e l’ Eloquenza, attribuita a Speron Speroni.
Tutti questi scrittori, dal quattrocentista Masuccio sino al Bargagli che tocca il seicento, si professano discepoli e imitatori del Boccaccio. Chi se ne appropria lo spirito e chi le invenzioni anche e la maniera. I Toscani, presso i quali il Boccaccio è di casa, scrivono con più libertà, e ci hanno una grazia e gentilezza di dire loro propria, che copre la grossolanità de’ sentimenti e de’ concetti: tale è il Lasca, e il Firenzuola nelle novelle inserite ne’ suoi