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spirito e l’eleganza delle forme, quanto la materia è più volgare. Strani sono i nomi di queste accademie e di questi accademici, come lo Impastato, il Raggirato, il Propaginato, lo Smarrito ecc. E recitano le loro dicerie, o come dicevano, cicalate sull’insalata, sulla torta, sulla ipocondria, inezie laboriose. Simili cicalate fatte in verso erano dette capitoli; il Casa canta la gelosia; il Varchi le ova sode; il Molza i fichi; il Mauro la bugia; il Caro il naso lungo; si cantano le cose più volgari e anco più turpi, e spesso con equivoci e allusioni oscene, al modo di Lorenzo, il maestro del genere. Il carnevale dalla piazza si ritira nelle accademie, e diviene più attillato, ma anche più insipido. Tra queste accademie era quella dei Vignaiuoli a Roma, dove recitavano il Mauro, il Casa, il Molza, il Berni tra prelati e monsignori. Il Berni piacque fra tutti, e si disputavano i suoi capitoli, e se li passavano di mano in mano.

Francesco Berni, maestro e padre del burlesco stile, detto poi bernesco, è l’eroe di questa generazione, erede di Giovanni Boccaccio e di Lorenzo, nella sua sensualità ornata dalla coltura e dall’arte. Nella sua ammirazione per questo primo e vero trovatore dello stile burlesco, il Lasca dice:

Non sia chi mi ragioni di Burchiello;
Chè saria proprio come comparare
Caron dimonio all’Agnol Gabriello.

Buontempone, amico del suo comodo e del dolce far niente la sua divinità è l’ozio più che il piacere:

Cacce, musiche, feste, suoni e balli,
Giuochi, nessuna sorte di piaceri
Troppo il movea .    .    .    .    
Onde il suo sommo bene era in iacere
Nudo, lungo, disteso; e il suo diletto
Era il non far mai nulla e starsi in letto.

De Sanctis ― Lett. Ital. Vol. I 28