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Quando tu il partoristi senza pena,
La prima cosa, credo, che facesti,
Si l’adorasti, o di grazia piena,
Poi sopra il fien nel presepio il ponesti:
Con pochi e pover panni l’involgesti,
Maravigliando o godendo, cred’io.
O quanto gaudio avevi e quanto bene,
Quando tu lo tenevi fra le braccia!
Dillo, Maria, che forse si conviene
Che un poco per pietà mi satisfaccia.
Baciavil tu allora nella faccia,
Se ben credo, e dicevi: o figliuol mio!
Quando figliuol, quando padre e signore,
Quando Dio, e quando Gesù lo chiamavi;
O quanto dolce amor sentivi al core,
Quando in grembo il tenevi ed allattavi!
Quanti dolci atti e d’amore soavi
Vedevi, essendo col tuo figliuol pio!
Quando un poco talora il dì dormiva,
E tu destar volendo il paradiso,
Pian piano andavi che non ti sentiva,
E la tua bocca ponevi al suo viso,
E poi dicevi con materno riso:
Non dormir più che ti sarebbe rio.
Sotto l’impressione del sentimento religioso Jacopone indovina tutte le gioie e le dolcezze dell’amor materno. Jacopone non concepisce il divino nella sua purezza, come un teologo o un filosofo, ma vestito di tutte le apparenze e gli affetti umani. Questa è una scena di famiglia, colta dal vero, con una franchezza di colorito e con una grazia di movenze, tutta intuitiva. Preghiere, sdegni, follie d’amore, fantasie, estasi, visioni, tutto trovi in Jacopone al naturale e come gli viene di dentro, ciò che ci è più semplice e commovente, e ciò che ci è più strano e volgare. La forma è il sentimento esso medesimo: ed ora è soave, efficace, quasi elegante, ora stra-