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centro principale fu a Roma, nella corte di Leone X, dove convenivano d’ogni parte novellatori, improvvisatori, buffoni, latinisti, artisti e letterati, come già presso Federico II. Anche i Cardinali avevano segretarii e parassiti di questa risma; anche i ricchi borghesi, come il Conte Gambara di Brescia, il Chigi, i Sauli a Genova, i Sanseverino a Milano. Intorno a Domenico Veniero in Venezia si aggruppavano Bernardo Tasso, Trifon Gabriele, il Trissino, il Bembo, il , Speron Speroni; a Vittoria Colonna facevano cerchio in Napoli il vecchio Sannazzaro, e il Costanzo, il Rota, il Tarsia. Da questi noti s’indovini la caterva de’ minori. Pensioni, donativi, impieghi, abbazie, canonicati, era la manna che piovea sul loro capo. E c’era anche la gloria, onorati, festeggiati, divinizzati, e senza discernimento, confusi i sommi e i mediocri. Furono chiamati divini con Michelangelo e l’Ariosto Pietro Aretino, e il Bembo, e Bernardo Accolti, detto anche l’Unico. Costui, fatto Duca, usciva con un corteggio di prelati e guardie Svizzere, dove giungeva s’illuminavano le città, si chiudevano le botteghe, si traeva ad udire i suoi versi dimenticati: tanti onori non furono fatti al Petrarca. I Letterati acquistarono coscienza della loro importanza; pitocchi e adulatori, divennero insolenti, e si posero in vendita, e la loro storia si può riassumere in quel motto di Benvenuto Cellini: Io servo a chi mi paga. Come si facevano statue, quadri, tempii per commissioni, così si facevano storie, epigrammi, satire, sonetti a richiesta, e spesso l’ingiuria era via a vendere a più caro prezzo la lode. In quest’aria viziata gli uomini anche meno corrotti divenivano servili e ciarlatani per far valere la merce. Non ci è immagine più straziante che vedere l’ingegno appiè della ricchezza, e udir Machiavelli chiedere qualche ducato a Clemente VII, e l’Ariosto gridare al suo Signore che non aveva di che rappezzarsi il manto, e veder Michelangelo, quando, da’ rei