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il capo-scuola, e Monsignor Guidiccioni, e Bernardo Tasso e simili, noiosissimi. Ma la frase in tanta insipidezza del fondo non poteva essere sufficiente alimento all’attività di una borghesia così svegliata ed eccitata, che decorava la sua sensualità e il suo ozio co’ piaceri dello spirito. Salse piccanti si richiedevano, fatti maravigliosi e straordinarii, intrecciati in modo che stimolassero la curiosità e tenessero viva l’attenzione. L’intrigo diviene la base delle novelle, de’ romanzi, delle commedie e delle tragedie, un intrigo così avviluppato che è assai vicino al garbuglio. Si cerca ne’ fatti il nuovo e lo strano, che stuzzichi l’immaginazione, il buffonesco e l’osceno nella commedia, il mostruoso e l’orribile nella tragedia. Dall’una parte ci è la frase, vacua sonorità, dall’altra il fatto, il vacuo fatto uscito dal caso; e come la frase oltrepassa l’eleganza ed è pretensiosa, come nel Bembo, o leziosa e civettuola, come nel Firenzuola o nel Caro, così il fatto per voler troppo stuzzicare diviene osceno o mostruoso, e sempre assurdo. Il realismo abbozzato dal Boccaccio, sviluppato nel Quattrocento, corre ora a passo accelerato alle ultime conseguenze, la dissoluzione morale e la depravazione del gusto. Ci è nella società italiana una forza ancora intatta, che in tanta corruzione la mantiene viva, ed è nel pubblico l’amore e la stima della coltura, e negli artisti e letterati il culto della bella forma, il sentimento dell’arte. In quella forma letteraria e accademica vedevano gl’italiani una traduzione della lingua viva, il parlare quotidiano idealizzato, secondo quel modello dove ponevano la perfezione ed eran larghi non pur di lodi ma di quattrini e di onori a questi artefici della forma. I centri letterarii moltiplicarono; comparvero nuove accademie; e le più piccole corti divennero convegni di letterati, i più oscuri principi volevano il segretario che ponesse in bello stile le loro lettere, e letterati e artisti che li divertissero. Il