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Il lato negativo di questo ideale era il comico, una sensualità licenziosa e allegra e beffarda, che in nome della terra metteva in caricatura il cielo, e rappresentava col piglio ironico di una coltura superiore le superstizioni, le malizie, le dabbenaggini, i costumi e il linguaggio delle classi meno colte. Da questa coltura sensuale, cinica e spiritosa uscì quell’epiteto i piagnoni, che fu a Savonarola più mortale della scomunica papale. I canti carnascialeschi sono il tipo del genere; il suo poeta è il Boccaccio, il suo storico è il Sacchetti; il suo istrione è il Pulci; il suo centro è Firenze. A questo lato negativo si congiunge il Pomponazzo, che spezza ogni legame tra cielo e terra, negando l’immortalità dell’anima. Era il vero motto, il segreto del secolo, la coscienza filosofica di una società indifferente e materialista che si battezzava platonica, predicava contro i turchi e gli ebrei, voleva il suo Papa, il suo Alessandro VI, che così bene la rappresentava, e non poteva perdonare al Pomponazzo di dire ad alta voce i suoi segreti, quando ella medesima non si aveva fatta ancora la domanda: Cosa sono? e dove vado?

Questa società tra balli e feste e canti e idillii e romanzi fu un bel giorno sorpresa dallo straniero e costretta a svegliarsi. Era verso la fine del secolo. Il Pontano bamboleggiava in versi latini e il Sannazzaro sonava la sampogna, e la monarchia disparve, come per intrinseca rovina, al primo urto dello straniero. Carlo VIII correva e conquistava Italia col gesso. Trovava un popolo che chiamava lui un barbaro, nel pieno vigore delle sue forze intellettive e nel fiore della coltura, ma vuota l’anima e fiacca la tempra. Francesi, spagnuoli, svizzeri, lanzichenecchi insanguinarono l’Italia, insino a che caduta con fine eroica Firenze, cesse tutta in mano dello straniero. La lotta durò un mezzo secolo, e fu in questi cinquant’anni di lotta che l’Italia sviluppò tutte