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del Boccaccio. Ne’ suoi trattati e dialoghi trovi prette voci latine, come bene est, etiam, idest, praesertim, e parole e costruzioni e giri latini, come proibire e vietare, e participii presenti e infiniti con costruzione latina, e affirmare, asseguire, conditore di leggi, duttore, valitudine, e moltissimi altri vocaboli. Anche nel collocamento delle parole e nell’intreccio del periodo latineggia. Ma non è un barbaro, che ti faccia strane mescolanze; anzi è uno spirito colto ed elegante, che ha nella mente un tipo e cerca di realizzarlo. Mira a un parlare di gentiluomo, se non con latina maestà, certo con gravità elegante ed urbana. E come è un toscano, anzi un fiorentino, la latinità è temperata dalla vivezza e grazia paesana. Se guardiamo ai trecentisti, il congegno del periodo, l’arte de’ nessi e de’ passaggi, una più stretta concatenazione d’idee, una più intelligente distribuzione degli accessorii, una più salda ossatura ti mostra qui una prosa più virile e uno spirito più coltivato, fatto maturo dalla educazione classica. Pure se per queste qualità Battista avanza i trecentisti è inferiore al Boccaccio, e rimane molto al di qua dalla perfezione. La prosa non è nata ancora: ci è una prosa di arte, dove lo scrittore è più intento alla forma, che alle cose, e mira principalmente all’eleganza, alla grazia e alla sonorità. Come arte, i ritratti del Battista sono ciò che la prosa ti dà di più compito in questo secolo. Ma sono frammenti, e tutti quasi vogliono gli ultimi tocchi, e nessuno si può dir cosa perfetta, come è un quadro del Poliziano.

Cosa dunque rimane vivo di Battista? Niuna cosa intera, come il Decamerone, fra le trentacinque sue opere. Rimangono di bei frammenti, quadri staccati. Il secolo finisce, e non hai ancora il libro del secolo, quello che lo riassume e lo comprende ne’ suoi tratti sostanziali. Se hassi a dir secolo un’età sviluppata e compiuta in sè in