e non ce n’è il sentimento. Lo spirito del racconto è il basso comico, un comico vuoto e spensierato, che imputridisce nelle acque morte di un’immaginazione volgare e non si alza a fantasia. Maggiore spirito è in Lorenzo e nel Boccaccio, che si mescolano fra la plebe, e non sono plebe, e la guardano alcun poco dall’alto. Ma il Pulci, ancorchè uomo colto, per i sentimenti e le inclinazioni è plebe, e a forza di rappresentare la parte del buffone plebeo, diviene egli medesimo quel cotale. Perciò gli mancano tutte le alte qualità di un artista comico: la grazia, la finezza, la profondità dell’ironia, e ti riesce spesso grossolano, superficiale, inculto e negletto anche nella forma. Ha non solo la grossolanità, ma anche l’angustia di un’immaginazione plebea, non essendoci ne’ suoi personaggi molta ricchezza di carattere, quella varietà di movenze, di sentimenti e d’istinti che fa dell’uomo un piccolo mondo. Rinaldo, Orlando, Ulivieri, Astolfo, Sansonetto, Ricciardetto, i paladini sono tutti a uno stampo, e non ci è differenza in loro che della forza. Malagigi è insignificante. Gano, Falserone, Bianciardino, Marsilio, Caradoro, Manfredonio, Falcone, Salincorno, tutti i pagani sono esseri superficiali, e spesso puri nomi. I più accarezzati dall’autore sono i due personaggi del suo cuore, Morgante e Margutte. Morgante è lo scudiere di Orlando, ed è il vero protagonista, lo spirito del racconto. Non è il cavaliere, è lo scudiere, l’eroe di questa storia plebea, il cui spirito penetra dappertutto e si continua anche dopo la sua morte. Morgante rappresenta il lato eroico e cavalleresco della plebe, ghiotto, millantatore, ignorante, di poca malizia, ma buono, fedele e coraggioso. Il suo battaglio è l’emulo di Durindana. Margutte è la plebe nella sua degenerazione e corruzione, ignobile, beffardo, ladro fraudolento, assai vicino all’animale. Questi due esseri accoppiati insieme si compiono e si spiegano. Se ci fosse maggiore stacco tra queste figure vol-