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ma è fine a sè stesso. Voglio dire che il miracolo non è un mezzo per conseguire uno scopo serio, e sviluppare un’azione interessante, come nelle leggende e ne’ primitivi poemi cavallereschi animati dalla fede; non essendo nel mondo del Bojardo altra serietà che il miracolo stesso, il fine di sorprendere gli uditori con la straordinarietà degli avvenimenti. I motivi delle azioni non sono a cercare nella serietà di un mondo religioso, morale, eroico, divenuto convenzionale e tradizionale, come il mondo cristiano, ma nel libero gioco delle passioni e de’ caratteri sotto l’influsso di potenze occulte. Onde nasce un mondo pieno di vivacità e di mobilità, dove tutte le forze dell’individuo non frenate da leggi e da autorità superiori si sviluppano nel pieno rigoglio della natura, e producono effetti così maravigliosi come le stregonerie e gl’incanti. Orlando e Rinaldo ti fanno maravigliare non meno che Malagigi e Angelica. Un mondo così essenzialmente fantastico e insieme così poco serio per il poeta e per gli uditori è in fondo quel mondo della cortesia calato dal Boccaccio in mezzo alla borghesia e fatto moderno, e ritirato dal Bojardo alle sue aure natie. Il ferrarese ha creduto renderlo cosa seria, dandogli forma nobile e decorosa, purgata dalle licenze e da’ disordini de’ romanzi plebei; ma è appunto quest’apparenza di serietà che toglie attrattivo al suo racconto. Ne’ romanzi plebei il maraviglioso fa un effetto serio sugl’ignoranti e ingenui uditori; ma i colti signori e cavalieri, alla cui presenza recitava il Bojardo i suoi canti, non potevano vedere in quei fantastici racconti che un puro giuoco d’immaginazione, disposti a spassarsi della plebe, che faceva gli occhioni e apriva la bocca. Quel mondo dunque non poteva divenire borghese, se non trasportato nell’immaginazione, e accompagnato da un sogghigno. E tutte e due queste condizioni mancano nell’Orlando innamorato. Il Bojardo ha molta vena inventiva; avve-