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versi, come: O crudel donna, che lasciato m’hai ― Giù per la villa lunga La bella se ne va ― Chi vuol l’anima salvare Faccia bene a’ pellegrini ec. Vi si mescolavano laude, racconti e poemetti spirituali con le stesse intonazioni. Li portavano ne’ più piccoli paesi i rapsodi o poeti ambulanti e i ciechi con la loro chitarra o mandola in collo, che vivevano di quel mestiere. E si chiamavano cantastorie, quando i loro canti erano romanzette o romanze, racconti di strane avventure intercalati di buffonerie e motti licenziosi. Questa letteratura profana e proibita a’ tempi del Boccaccio, come s’è visto, era il passatempo furtivo anche delle donne colte ed eleganti. Erano alla moda romanzi franceschi con le loro traduzioni, imitazioni e raffazzonamenti in volgare. In questo secolo moltiplicarono co’ rispetti e le ballate anche i romanzi. Della cavalleria si vedeva l’immagine sfarzosa nelle corti, e alcuna lontana reminiscenza ne davano le compagnie di ventura. Cavaliere e cavallo era ancora il tipo della storia, l’ideale eroico celebrato nelle giostre, e riflesso ne’ romanzi. Se ne scrivevano in dialetto e in volgare. Tra gli altri che venner fuori, sono degni di nota l’Aspramonte, l’Innamoramento di Carlo, l’Innamoramento di Orlando, Rinaldo, la Trebisonda, i Fioretti de’ Paladini, il Persiano, la Tavola rotonda, il Troiano, la Vita di Enea, la vita di Alessandro di Macedonia, il Teseo, il Pompeo romano, il Ciriffo Calvaneo. Il maggiore attrattivo era la libertà delle invenzioni; si empivano le carte di fole e di sogni, come dice il Petrarca: e chi le dicea più grosse, era stimato più. Questo elemento fantastico penetrò anche ne’ misteri, come nelle laude era penetrato il canto popolare. Le rappresentazioni presero una tinta romanzesca; l’effetto non potendosi più trarre da un sentimento religioso che faceva difetto, si cercava nella varietà e nel maraviglioso degli accidenti, com’è il S. Giovanni e Paolo di Lorenzo.