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e non come un bel velo, una bella apparenza, ma terminato e tranquillo in sè stesso, quale si mostra nel periodo e nell’ottava, le due forme analitiche e descrittive del Boccaccio, divenute la base della nuova letteratura. L’ottava del Boccaccio diffusa, pedestre, insignificante, qui si fissa, prende una fisonomia. Ciascuna stanza è un piccolo mondo, dove la cosa non lampeggia a guisa di rapida apparizione, ma ti sta riposata innanzi come un modello e ti mostra le sue bellezze. Non è un periodo congegnato a modo di un quadro, dove il protagonista emerga tra minori figure; ma è come una serie dove ti vedi sfilare avanti le parti ad una ad una di quel piccolo mondo. Diresti che in questa bella natura tutta è interessante, e non ci è principale ed accessorio, maniera di ottava accomodata al genio di un uomo che non ammette l’insignificante e l’indifferente, e tutto vuole sia oro e porpora. Perciò non hai fusione, ma successione, che è la cosa come ti si spiega innanzi, prima che il tuo spirito la scruti e la trasformi. La stanza non ti dà l’insieme, ma le parti; non ti dà la profondità, ma la superficie, quello che si vede. Pure le parti sono così bene scelte e la serie è ordita con una gradazione così intelligente, che all’ultimo te ne viene l’insieme, prodotto non dalla descrizione, ma dal sentimento. Vuol descrivere la primavera e ti dà una serie di fenomeni:

Zefiro già di bei fioretti adorno
Avea ai monti tolta ogni pruina:
Avea fatto al suo nido già ritorno
La stanca rondinella peregrina;
Risonava la selva intorno intorno
Soavemente all’ora mattutina:
E la ingegnosa pecchia al primo albore
Giva predando or uno or altro fiore.

Questi fenomeni sono così bene scelti, legati con tanto