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Amor per tal ragion sta in cor gentile,
Per qual lo foco in cima del doppiero.
Amore in gentil cor prende rivera,
Com’ diamante dal ferro in la miniera.
Fere lo sollo fango tutto il giorno;
Vile riman: nè il Sol perde calore.
Dice un altier: gentil per schiatta torno:
Lui sembra il fango; e il Sol gentil valore:
Che non dee dare uom fè
Che gentilezza sia fuor di coraggio
In dignità di Re,
Se da virtute non ha gentil core:
Com’acqua, ei porta raggio,
E il ciel ritien la stella e lo splendore.
C’è qui una certa oscurità alcuna volta e un certo stento, come di un pensiero in travaglio, e n’escono vivi guizzi di luce che rivelano le profondità di una mente sdegnosa di luoghi comuni e per lungo uso speculatrice. Il contenuto non è ancora trasformato internamente, non è ancora poesia cioè vita e realtà; ma è già un fatto scientifico, scrutato, analizzato da una mente avida di sapere, con la serietà e la profondità di chi si addentra ne’ problemi della scienza, e illuminato da una immaginazione, eccitata non dall’ardore del sentimento, ma dalla stessa profondità del pensiero. Guido non sente amore, non riceve e non esprime impressioni amorose; ma contempla l’amore e la bellezza con uno sguardo filosofico, quello che gli si affaccia non è persona idealizzata, ma è pura idea, della quale è innamorato con quello stesso amore che il filosofo porta alla verità intuita e contemplata dalla sua mente, quasi fosse persona viva. Così Platone amava le sue idee; l’amore platonico non era altro che amore d’intuizione e di contemplazione, una specie di parentela tra il contemplante e il contemplato: io ti contemplo e ti fo mia. Guido ama la creatura della