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mondo che non ha altra serietà, se non quella che gli dà l’immaginazione; le passioni sono emozioni, gli avvenimenti sono apparizioni, i personaggi sono ombre; la vita danza e canta, e non si ferma e non puoi fissarla. La stessa leggerezza penetra nelle forme, flessibili, variamente modulate, e come tutta un’orchestra di metri, entrati gli uni negli altri in una sola armonia. Il settenario rammorbidisce l’endecasillabo; la ballata dà le ali all’ottava; le rime si annodano ne’ più voluttuosi intrecci; ora è il dialetto nella sua grazia, ora è la lingua nella sua maestà; qui lo sdrucciolo ti tira nella rapida corsa, là il tronco ti arresta e ti culla; con una facilità e un brio che pare il poeta giuochi con i suoi strumenti.

Così Orfeo, il figlio di Apollo e di Calliope, rinacque; così divenne il nunzio del risorgimento. Le edizioni moltiplicarono; penetrò dalle corti nel contado; se ne fecero imitazioni; comparve la Historia e favola d’Orfeo; e anche oggi nelle valli toscane ti giunge la melodia di Orfeo dalla dolce lira, una storia in ottava rima. Personaggio indovinato, comparso proprio alla sua ora nel mondo moderno, segnacolo e vessillo del secolo.

L’Orfeo nacque tra le feste di Mantova; e tra le feste di Firenze nacquero le Stanze. Quel mondo borghese della cortesia, così ben dipinto nel Decamerone, riproducea nelle sue giostre il mondo profano de’ romanzi e delle novelle, la cavalleria. I poeti celebrano a suon di tromba le gloriose pompe e i fieri ludi di questi mercanti improvvisati cavalieri e vestiti all’eroica; non ci era più la realtà; ce n’era l’immaginazione. Le giostre erano in fondo una rappresentazione teatrale, e i giostranti erano attori che rappresentavano i personaggi de’ romanzi, spettacolo continuato oggi nelle corse, con questo progresso che gli attori sono i cavalli. Ridicoli sono i poeti che narrano le alte geste de’ giostranti come