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ma di una nazione, quando un’anima ci fosse stata. La verità è che il povero latino non potè uccider nulla perchè nulla ci era, niuna serietà di sentimento religioso, politico, morale, pubblico, da cui potesse uscire il dramma. Quel mondo spensierato e sensuale non ti potea dare che l’idillico e il comico; e in tanto fiorire della coltura, con tanta disposizione ed educazione artistica, non potea produrre che un mondo simile a sè, un mondo di pura immaginazione. Il mistero è un aborto, è una materia sacra che non dice più nulla alla mente ed al cuore, senza alcuna serietà di motivi, e trasformata da uomini colti da puro giuoco d’immaginazione: dove angioli e demoni, paradiso e inferno hanno così poca serietà come Apollo e Diana e Plutone. La serietà e solennità della materia era in flagrante contraddizione con quella forma tutta senso e tutta superficie, e con quel mondo spensierato e allegro della pura immaginazione idillico-comico-elegiaco. Il mistero ci fu, quale poteva realizzarlo l’Italia in questa disposizione dello spirito, e ci fu l’ingegno, quale poteva essere allora l’ingegno italiano. Quel mistero fu l’Orfeo, e quell’ingegno fu Angiolo Poliziano.
Il Poliziano è la più spiccata espressione della letteratura in questo secolo. Ci è già l’immagine schietta del letterato, fuori di ogni partecipazione alla vita pubblica; vuoto di ogni coscienza religiosa o politica o morale, cortigiano, amante del quieto vivere, e che alterna le ore tra gli studi e i lieti ozii. Ebbe in Lorenzo un protettore, un amico e divenne la sua ombra, il suo compagno ne’ sollazzi pubblici e secreti. Cominciò la vita, voltando l’iliade in latino, grecista e latinista sommo. Dettava epigrammi latini con la facilità di un improvvisatore. Si traeva da tutta Europa a sentirlo spiegare Omero e Virgilio. E non si ammirava l’erudito, ma l’uomo di gusto e il poeta, che ispirato vi aggiungeva le sue emozioni e le sue impressioni e i suoi carmi. Il