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erudito. La sua immaginazione erra in Atene e in Troia. Tenta questo e quel genere, e non trova mai se stesso. Quel mondo è come un denso velo che muta il colore degli oggetti e gliene toglie la vista immediata. Imita Dante, imita Virgilio, petrarcheggia e platoneggia come il buon Sacchetti. Scrive magni volumi latini, ammirazione de’ contemporanei. E si scopre artista, quando, gittato via tutto questo bagaglio, scrive per sollazzo, abbandonato alla genialità dell’umore. Dove cerca il piacere, trova la gloria.

Questa vita ne’ suoi tentennamenti, nelle sue imitazioni, nelle sue pedanterie, ne’ suoi ideali, è la storia della nuova letteratura.


XI.


LE STANZE.


Siamo al secolo decimoquinto. Il mondo greco-latino si presenta alle immaginazioni come una specie di Pompei, che tutti vogliono visitare e studiare. L’Italia ritrova i suoi antenati, e i Boccacci si moltiplicano, l’impulso dato da lui e dal Petrarca diviene una febbre, o per dir meglio, quella tale corrente elettrica che in certi momenti investe tutta una società e la riempie dello stesso spirito. Quella stessa attività che gittava l’Europa crociata in Palestina, e più tardi spingendola verso le Indie le farà trovare l’America, tira ora gl’Italiani a disseppellire il mondo civile rimasto per così lungo tempo sotto le ceneri della barbarie. Quella lingua era la lingua loro, e quel sapere era il loro sapere: agl’Italiani pareva avere racquistato la conoscenza e il possesso di sè stessi, essere rinati alla civiltà. E la nuova èra fu chiamata il rinascimento. Nè questo era un sentimento che sorgeva improvviso. Per lunga tradizione Roma era capitale del mondo, gli stranieri erano barbari, gl’italiani erano sem-