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Sono lamenti senili di uomini superficiali e mediocri, dove non trovi alcuna profondità di vista e non forza di mente o di sentimento. Pur vi trovi, ancorchè in forma pedantesca, la fisonomia del secolo negli ultimi giorni della sua esistenza.

Quella nota malinconica è la stessa forza che tirò alla Certosa il vecchio Boccaccio, e volse a Maria gli ardori del Petrarca e rattristò le ultime ore di Franco Sacchetti, e piegò le ginocchia di Giovanna innanzi a Caterina da Siena. Perchè quella forza, contraddetta e negata nella vita, occupava ancora l’intelletto, e tra le orgie di una borghesia arricchita e gaudente comparirà talora come un rimorso, e chiamerà gli uomini alla penitenza.

La fede va mancando, grida il ferrarese. E gli studii si convertono in forni, nota il fiorentino. Non si potea meglio dipingere la fisonomia che andava prendendo il secolo, e che comunicava alla nuova generazione. Possiamo disegnarla in brevi tratti.

Come il popolo grasso piglia il sopravvento in Firenze, così nelle altre parti d’Italia la borghesia si costituisce, si ordina, diviene una classe importante per industrie, per commerci, per intelligenza e per coltura. E lo stacco si fa profondo tra la plebe e la classe colta. La coltura non è privilegio di pochi, ma si allarga e si diffonde, e fa del popolo italiano il più civile d’Europa.

La vita pubblica e la vita religiosa rimane stazionaria fra l’universale indifferenza. Continuano le stesse forme, ma sciolte dallo spirito che le rendea venerabili, quelle persone, quei riti e quel linguaggio appariscono cosa ridicola e diventano il motivo comico delle liete brigate.

La vita privata viene su. Ed è vita socievole, spensierata, condita dallo spirito. Gli uomini si uniscono in compagnie o brigate non per discutere, ma per sollaz-