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nella lieta brigata dove i versi saranno cantati, tra musica e ballo. Veggasi la ballata del pruno e il madrigale del falcone.

Le novelle del Sacchetti hanno per materia lo stesso mondo boccaccevole in un aspetto più borghese e domestico: frizzi, burle, amorazzi, ipocrisie fratesche, aneddoti, pettegolezzi vengon fuori, bassa vita popolana in forma popolana. Alcuni le pregiano più che il Decamerone, per lo stile semplice e naturale e rapido, non privo di malizia e di arguzia fiorentina. Ma la naturalezza del Sacchetti è quella dell’uomo a cui le Muse sono avare de’ loro doni. Non è artista, e neppure d’intenzione. Gli manca ogni sorta d’ispirazione. Quel mondo con tanta magnificenza organizzato nel Decamerone è qui un materiale grezzo, appena digrossato. Perciò delle sue trecento novelle si ricorda appena qualche aneddoto; nessun personaggio è rimasto vivo.

Il Sacchetti sopravvisse al secolo. Nel suo buon umore ci è una nota malinconica, che all’ultimo manda più lugubre suono. Non piace al brav’uomo un mondo, in cui chi ha più danari, vale più, e grida che vertù con pecunia non si acquista, e che gentilezza e virtù son nella mota. Dipinge al vivo gli avvocati de’ suoi tempi:

Legge civile e ragion canonica
Apparan ben; ma nel mal spesso l’usano:
Difendono i ladroni, e gli altri accusano.
Chi ha danari e chi più puote scusano:
Tristo a colui che con costor s’incronica,
Se non empie lor man sotto la tonica.

Ora se la piglia con le vecchie. Ora è tutto stizzoso per le nuove fogge di vestire portate a Firenze da altri paesi. Grida contro la turba de’ rimatori e de’ cantatori:

Pieno è il mondo di chi vuol far rime:
Tal compitar non sa che fa ballate,
Tosto volendo che sieno intonate.