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quella a cui partecipa, e che suona nel suo spirito, quella in cui apparisce la sua personalità. Ed è appunto quel mondo di cui il Boccaccio è così vivace espressione.
Franco è il vero uomo della tranquillità. Il Boccaccio sdegnava l’epiteto, e talora voleva sonare la tromba e rappresentare azioni e passioni eroiche. Franco non ha pretensioni, e si mostra com’è, ed è contento di esser così. È uomo stampato all’antica, in tempi corrotti, buon cristiano e insieme nemico degl’ipocriti e mal disposto verso i preti e i frati, diritto ed intero nella vita, alieno dalle fazioni, benevolo a tutti, talora mordace, ma senza fiele, modesto estimatore di sè e lontanissimo di mettersi allato a’ grandi poeti di quel tempo, che erano, secondo lui e i contemporanei, Zanobi da Strada, il Petrarca e il Boccaccio. Quali erano i desiderii del nostro brav’uomo? Menare una vita tranquilla e riposata; ed era il più contento uomo del mondo, quando in villa o in città potea darsi buon tempo fra le allegre brigate, motteggiando, novellando, sonetteggiando. Ci è in lui dell’idillico e del comico. Ama la villa, perchè in città
Mal vi si dice, e di ben far vi è caro;
e nelle sue cacce, nelle sue ballate senti non di rado la freschezza dell’aura campestre, come è quella così briosa delle donne che givano cogliendo fiori per un boschetto, e l’altra delle montanine, di una grazia così ingenua. In città è un burlone, pieno il capo di motti, di facezie, di fatterelli, e te li snocciola come gli escono, con tutto il sapore del dialetto e con un’aria di bonomia che ne accresce l’effetto. I suoi sonetti e le canzoni sono molto al di sotto de’ madrigali e ballate o canzoni a ballo, di un andare svelto e allegro, dove non mancano pensieri galanti e gentili: dietro il poeta senti l’uomo che ci piglia gusto e vi si sollazza, e sta già con l’immaginazione