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lano. E già fin da’ primi lineamenti ti balza innanzi il motivo comico, che ti si sviluppa a poco a poco per via di gradazioni l’una entrata nelle altre con effetto crescente. Il Boccaccio vi spiega quella qualità che i Francesi mirando alla forza nel suo calore e nella sua facilità chiama verve, e noi chiamiamo brio mirando alla forza nella sua allegra genialità. Di che maraviglioso esempio è la novella di Alibech, e l’altra di ser Ciappelletto. A render più piccante la caricatura serve l’ironia, che qui è forma non sostanziale ma accessoria. Ed è un’apparente bonomia, un’aria d’ingenuità, con la quale il narratore fa il pudico e lo scrupoloso, e non vuol credere, e pur crede, e si fa la croce con un sogghigno. Questa ironia è come una specie di sale comico che rende più saporito il riso a spese del paternostro di San Giuliano e de’ miracoli di ser Ciappelletto.

Essendo base di questo mondo la descrizione, cioè l’oggetto non ne’ suoi raggi e ne’ suoi profumi, cioè a dire nelle sue impressioni, ma nel suo corpo singolarizzato ed individuato, ha bisogno di forme piene e ricche, e così nascono le due forme della nuova letteratura, l’ottava rima nella poesia, e il periodo nella prosa.

Abbiamo già vista la nona rima svilupparsi con magnificenza orientale nel poema l’Intelligenza. L’ottava rima non è inventata dal Boccaccio, come non è sua invenzione il periodo. Ma è lui che le dà un corpo e l’intonazione. Prima di lui l’ottava rima è un accozzamento slegato e fortuito, dove diversi oggetti sono ficcati insieme a caso, che potrebbero assai bene star da sè. Stanno lì dentro oggetti nudi, non ci è un solo oggetto sviluppato e addobbato. L’ottava rima è un meccanismo, non è ancora un organismo. Il Boccaccio ha fatto dell’ottava una totalità organica, ed è l’oggetto che si sviluppa a poco a poco nelle sue gradazioni. Ben trovi nei suoi poemi ottave felici; ma in generale elle sono impi-