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coli, il Paradiso in istrana mescolanza col fantastico e il voluttuoso del mondo orientale, tutto battezzato sotto nome di cavalleria. Le idee generali non sono ancora potenti di uscire nella loro forma, e sono ancora allegorie. Le idee morali sono motti e proverbii. La letteratura di questa età infantile sono romanzi e novelle e favole e motti, poemi allegorici e sonetti nel loro primo significato, cioè rime con suoni: canti, e balli, onde la canzone e la ballata.
La cavalleria poco attecchì in Italia. Castella e castellane col loro corteggio in giullari, trovatori, novellatori e bei favellatori doveano aver poco prestigio presso un popolo che avea disfatte le castella, e s’era ordinato a comune: Vinto Federico Barbarossa, e abbattuta poi casa sveva, quella vita di popolo fu assicurata, e le tradizioni feudali e monarchiche perdettero ogni efficacia nella realtà. Rimasero nella memoria, non come regola della vita, ma come un puro gioco d’immaginazione. Nessuno credeva a quel mondo cavalleresco, nessuno gli dava serietà e valore pratico: era un passatempo dello spirito, non tutta la vita, ma un incidente, una distrazione. Ora quando un contenuto non penetra nelle intime latebre della società, e rimane nel campo dell’immaginazione, diviene subito frivolo e convenzionale, come la moda, e perde ogni sincerità e ogni serietà. Ma la stessa immaginazione era inaridita innanzi a un contenuto dato e fissato, come si trovava in una letteratura non nata e formata con la vita nazionale, ma venuta dal di fuori per via di traduzioni. Perciò niente di nazionale e di originale, nessun moto di fantasia o di sentimento; nessuna varietà di contenuto; una così noiosa uniformità che mal sai distinguere un poeta dall’altro.
Questo contenuto non può aver vita, se non si move, trasformato e lavorato dal genio nazionale. Quello stesso senso artistico, che avea condotta già a tanta perfezione