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Ma per giungere a questa produzione geniale è necessario che lo spirito sia anch’esso un sentimento, il sentimento del ridicolo, cioè a dire che stando in mezzo al suo mondo ne provi tutte le emozioni, e ci viva entro e ci si spassi, pigliandovi lo stesso interesse che altri piglia nelle cose più serie della vita. Pure l’emozione dee esser quella di uno spettatore intelligente, anzi che di un attore mescolato in mezzo a’ fatti, sì che tu guardi quella calma e prontezza di animo, che ti tenga superiore allo spettacolo: ond’è che il vero uomo di spirito fa ridere, e non ride, lui. È questa calma superiore che rende lo spirito padrone del suo mondo e glielo fa foggiare a sua guisa, annodando le fila, sviluppando i caratteri, disegnando le figure, distribuendo i colori.
Lo spirito del Boccaccio è meno nell’intelletto che nell’immaginazione, meno nel cercar rapporti lontani che nel produrre forme comiche. Lo studio che i suoi antecessori pongono a spiritualizzare, lui lo pone a incorporare. E cerca l’effetto non in questo o quel tratto, ma nell’insieme nella massa degli accessorii tutti stretti come una falange. Gli antecessori fanno schizzi: egli fa descrizioni. Quelli cercano l’impressione più che l’oggetto; egli si chiude e si trincera nell’oggetto e lo percorre e rivolta tutto. Perciò spesso hai più il corpo e meno l’impressione; più sensazione che sentimento; più immaginazione che fantasia; più sensualità che voluttà. Mancano i profumi a’ suoi fiori, mancano i raggi alla sua luce. È una luce opaca, per troppa densità e ripetizione di sè stessa. Questa maniera nelle cose serie è insopportabile come nel Filocolo e nell'Ameto con quelle interminabili descrizioni e orazioni, dove ti senti come arenato e che non vai innanzi. E ti offende anche talora nel Decamerone, quando per esempio si fa parlare Tito o la figliuola di Tancredi con tutte le regole della rettorica e della logica. Ma nel comico questa maniera è