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condanna del Padre indarno pentito e piangente sul morto corpo della figliuola, il quale apparisce non come giusto vendicatore del suo onore offeso, ma come ribelle verso la natura e l’amore. L’effetto estetico è la compassione verso il padre e la figliuola, l’una di alto animo, l’altro umano e di benigno ingegno, vittime tutti e due non per difetto proprio, ma per le condizioni del mondo in mezzo a cui vivono. La conclusione ultima è la rivendicazione delle leggi della natura e dell’amore verso gli ostacoli in cui s’intoppano. Sicchè la tragedia è qui il suggello e la riprova del mondo boccaccevole, e il dolore fugace che vi fa la sua comparsa, presentato nella sua forma più mite e tenera, vicina alla compassione, è come il condimento della gioia, a lungo andare insipida, quando sia abbandonata a sè stessa.

La base della tragedia è mutata. Non è più il terrore che invade gli spettatori incontro a un Fato incomprensibile che si manifesta nella catastrofe, come nei greci, e neppure l’espiazione per le leggi di una giustizia superiore, come nell’inferno dantesco; ma è il mondo abbandonato alle sue forze naturali e cieche, nel cui conflitto rimane l’amore come una specie di diritto superiore, incontro a cui tutti hanno torto. La natura che nel mondo dantesco è il peccato, qui è la legge, ed ha contro di sè non un mondo religioso e morale, di cui non è vestigio, ancorchè ammesso in astratto e in parola, ma la società come si trova ordinata in quel complesso di leggi, di consuetudini che si chiamano l’onore. Il conflitto è tutto però al di fuori nell’ordine de’ fatti prodotti dal diverso urto di queste forze e terminati dalla benignità o malvagità del caso o della fortuna; e non sale a vera opposizione interna che sviluppi le passioni e i caratteri. Il poeta non è un ribelle alle leggi sociali e tanto meno un riformatore; prende il mondo com’è, e se le sue simpatie sono per le vittime dell’amore, non biasima per-