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tabili accidenti della vita che è qui il Deus ex machina, il Dio di questo mondo.
E poichè la macchina è il maraviglioso, l’imprevisto, il fortuito, lo straordinario, l’interesse del racconto non è nella moralità degli atti, ma nella loro straordinarietà di cause e di effetti. Non già che il Boccaccio sconosca il mondo morale e religioso, ed alteri le nozioni comuni intorno al bene od al male, ma non è questo di che si preoccupa e che lo appassiona. Poco a lui rileva che il fatto sia virtuoso o vizioso; ciò che importa è che possa stuzzicare la curiosità con la straordinarietà degli accidenti e dei caratteri. La virtù posta qui a fare effetto sull’immaginazione manca di semplicità e di misura e diviene anch’essa un istrumento del maraviglioso, condotta ad una esagerazione, che scopre nell’autore il vuoto della coscienza ed il difetto di senso morale. Esempio notabile è la Griselda, il personaggio più virtuoso di quel mondo. La quale per mostrarsi buona moglie soffoca tutti i sentimenti della natura e la sua personalità e il suo libero arbitrio. L’autore, volendo foggiare una virtù straordinaria, che colpisca di ammirazione gli uditori, cade in quel misticismo contro di cui si ribella e che mette in gioco, collocando l’ideale della virtù femminile nell’abdicazione della personalità, a quel modo che secondo l’ideale teologico la carne è assorbita dallo spirito e lo spirito è assorbito da Dio. Si rinnova il sacrificio di Abramo, e il Dio che mette la natura a così crudel prova, è qui il marito. Similmente la virtù in Tito e Gisippo è collocata così fuori del corso naturale delle cose, che non ti alletta come un esempio, ma ti stupisce come un miracolo. Ma virtù eccezionali e spettacolose sono rare apparizioni, e ciò che spesso ti occorre, è la virtù tradizionale di tempi cavallereschi e feudali, una certa generosità e gentilezza di re, di principi, di marchesi, reminiscenze di storie cavalleresche ed eroiche in tempi