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immaginazione. Di questo carnevale il Boccaccio aveva l’immagine della Corte ove avea passati i suoi più bei giorni, attingendo le sue ispirazioni in quel letame, sul quale le Muse e le Grazie sparsero tanti fiori. Un congegno simile trovi già nell’Ameto, un decamerone pastorale: se non che ivi i racconti sono allegorici e preordinati ad un fine astratto: non c’è lo spirito della Divina Commedia, ma ce n’è l’ossatura. Qui al contrario i racconti non hanno altro fine che di far passare il tempo piacevolmente, e sono veri mezzani di piacere e d’amore, il vero Principe Galeotto, titolo italiano del Novelliere, velato pudicamente da un titolo greco. I personaggi evocati nell’immaginazione da diversi popoli e tempi appartengono allo stesso mondo, vuoto al di dentro, corpulento al di fuori. Personaggi, attori, spettatori e scrittore, sono un mondo solo, il cui carattere è la vita tutta al di fuori, in una tranquilla spensieratezza.

Questo mondo è il teatro de’ fatti umani abbandonati al libero arbitrio e guidati ne’ loro effetti dal caso. Dio o la Provvidenza ci sta di nome, quasi per un tacito accordo nelle parole di gente caduta nella più profonda indifferenza religiosa, politica e morale. E non c’è neppure quella intima forza delle cose, che crea la logica degli avvenimenti e la necessità del loro cammino; anzi l’attrattivo del racconto è proprio nell’opposto, mostrando le azioni umane per il capriccio del caso riuscire a un fine affatto contrario a quello che ragionevolmente si potea presupporre. Nasce una nuova specie di maraviglioso, generato non dall’intrusione nella vita di forze oltrenaturali sotto forma di visioni o miracoli, ma da uno straordinario concorso di accidenti non possibili ad essere preveduti e regolati. L’ultima impressione è che signore del mondo è il caso. Ed è appunto nel vario giuoco delle inclinazioni e delle passioni degli uomini sottoposte ai mu-