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suoi studii classici ne’ tempi eroici e primitivi delle greche tradizioni. Pure le novelle doveano riuscire più popolari e più gradite, perchè più conformi a’ tempi e a’ costumi. E se ne affazzonavano o inventavano di ogni sorta, serie e comiche, morali e oscene, variate e abbellite dai novellatori secondo i gusti dell’uditorio. La novella era dunque un genere vivente di letteratura, lasciato in balia dell’immaginazione e come materia profana e frivola, trascurata dagli uomini colti. Rivale della novella era la leggenda coi suoi miracoli e le sue visioni. Gli uomini colti si tenevano alto in una regione loro propria e lasciavano a’ frati i Fioretti di san Francesco e la vita del beato Colombino, e a’ buontemponi la semplicità di Calandrino e le avventure galanti di Alatiel.
In questo mondo profano e frivolo entrò il Boccaccio, con non altro fine che di scrivere cose piacevoli e far cosa grata alla donna che glie ne avea data commissione. E raccolse tutta quella materia informe e rozza, trattata da illetterati, e ne fece il mondo armonico dell’arte.
Dotte ricerche sonosi fatte sulle fonti dalle quali il Boccaccio ha attinte le sue novelle. E molti credono si tolga qualche cosa alla sua gloria, quando sia dimostrato che la più parte de’ suoi racconti non sono sua invenzione, quasi che il merito dell’artista fosse nell’inventare, e non piuttosto nel formare la materia. Fatto è che la materia così nella Commedia e nel Canzoniere come nel Decamerone, non uscì dal cervello di un uomo, anzi fu il prodotto di una elaborazione collettiva, passata per diverse forme insino a che il genio non l’ebbe fissata e fatta eterna.
Ci erano in tutti i popoli latini novelle sotto diversi nomi, ma non c’era la novella, e tanto meno il Novelliere, in cui i singoli racconti fossero composti ad unità e divenissero un mondo organico. Questo organismo vi