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zo dell’autore. Lia propone, che ciascuna Ninfa canti la sua storia e canti la Deità reverita da lei, acciocchè oziose come le misere fanno non passino il chiaro giorno. Sedute in cerchio e posto in mezzo Ameto, come loro presidente o antistite, cominciano i loro racconti. Sono sette Ninfe, Mopsa, Emilia, Adiona, Acrimonia, Agapes, Fiammetta e Lia, ciascuna consacrata a una divinità, Pallade, Diana, Pomena, Bellona, Venere, delle quali si cantano le lodi. Ne’ racconti delle Ninfe vedi la vittoria dell’amore e della natura sulla ferina salvatichezza degli uomini, e all’ozio bestiale tener dietro le arti di Pallade, di Diana, di Astrea, di Pomena, e di Bellona, la cultura e l’umanità. Ti vedi innanzi svilupparsi tutto il mondo della coltura, e cominciare da Atene, ed in ultimo posare in Etruria, dove l’autore con giusto orgoglio pone il principio della cultura. Da ultimo apparisce luce una e trina, entro la quale guardando Ameto, Mopsa gli occhi asciugandoli da quelli levò l’oscura caligine, sì che nella triforme ravvisa la celeste e santa Venere, madre di amore puro e intellettuale. Tuffato nella fonte da Lia, gittati i panni selvaggi, e lavato di ogni lordura, si sente di bruto fatto uomo, e vede chi sieno le Ninfe, le quali più all’occhio che all’intelletto erano piaciute, e ora all’intelletto piacciono più che all’occhio, discerne quali sieno i tempi e quali le Dee di cui cantano, e chenti sieno i loro amori, e non poco in sè si vergogna de’ concupiscevoli pensieri avuti. Le Ninfe, le quali non sono altro che le scienze e le arti della vita civile, tornano alla celeste patria, e Ameto canta la sua redenzione dallo stato selvaggio.

Questo disegno evidentemente è uscito da una testa giovanile: ancora sotto l’azione di tutti i diversi elementi di quella coltura. Palpabili sono le reminiscenze della Divina Commedia. Lia e Fiammetta ricordano Matilde e Beatrice. Il concetto nella sua sostanza è dan-