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la notte ancora non sa restare. Nelle sue gelose querele si rivela il vero genio del Boccaccio, una forza comica accompagnata con vera felicità di espressione attinta in un dialetto così vivace e già maturo, pieno di scorciatoie, di frizzi, di motti, di grazie. Citiamo alcuni brani: «Credi tu ch’io sia abbagliata, e ch’io non sappia a cui tu vai dietro? a cui tu vogli bene? e con cui tutto il dì favelli? Misera me, che è cotanto tempo ch’io ci venni, e pur una volta ancora non mi dicesti: Amor mio, ben sia venuta. Ma alla croce di Dio, ch’io farò di quelle a te che tu fai a me. Or son io così sparuta? Non son io così bella, come la cotale? ma sai che ti dico, chi due bocche bacia, l’una convien che puzzi. Fatti costà, se Iddio m’aiuti, tu non mi toccherai, va dietro a quelle di cui tu sei degno, chè certo tu non eri degno di aver me, e fai bene ritratto di quello che tu sei, ma a fare a fare sia». Questa è lingua già degna di Plauto, e il Corbaccio è sparso di cotali scene, degne di colui che aveva già scritto il Decamerone.

Fra tanti peccati che il marito tradito e l’amante burlato attribuiscono alla donna c’è pur questo, che le sue orazioni e i suoi paternostri sono i romanzi franceschi, e tutta si stritola quando legge Lancillotto o Tristano nelle camere segretamente. E anche legge la canzone dell’indovinello, e quella di Florio e di Biancefiore e simili altre cose assai. Sono preziose rivelazioni sulla letteratura profana e proibita, allora in voga. Ma se peccato c’è il maggior peccatore era il Boccaccio per l’appunto, che per piacere alle donne scrivea romanzi. Pure è lecito credere ch’elle leggevano con più gusto la nuda storia francesca di Florio e Biancefiore, che l’imitazione letteraria fatta dal Boccaccio, detta Filocolo, dove Biancefiore (Blanchefleur) è chiamata all’italiana Biancofiore. Alle donne caleva poco di mitologia e storia antica, e se tanta erudizione e artificio rettorico poteva