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tosi avvenimenti dell’innamorato Florio e della sua Biancofiore, i quali vi fieno graziosi molto». Probabilmente i giovani vaghi e le donne innamorate avrebbero desiderato una storia di amore più breve meno dotta. Ma come resistere alla tentazione? Il giovine ci ficca dentro tutta la mitologia, e ad ogni menoma occasione esce fuori con la storia greca e romana. Giulia, uccisole il marito, nell’ultima disperazione, parlando all’uccisore, cita Ecuba e Cornelia. Nè la mitologia ci sta a pigione, come semplice colorito, ma è la vera macchina del racconto, come in Omero e Virgilio. E se Giove, Pluto, Venere, Pallade e Cupido fossero personaggi vivi avremmo un grottesco non dispiacevole, ma sono personificazioni ampollose e rettoriche, formate dalla memoria, non dall’immaginazione. Ancora, visto che teologia e poesia sono una stessa cosa, la teologia è paganizzata, e Dio diviene Giove, e Lucifero diviene Pluto: sì che pagani e cristiani, inimicandosi a morte, usano le stesse forme e adorano gli stessi Iddii. Macchinismo vuoto che s’intramette dappertutto, e guasta il linguaggio naturale del sentimento introducendo ne’ fatti e nelle passioni un’espressione artificiale e metaforica. Volendo dire giovani innamorati si dice: «i quali avete la vela della barca della vaga mente dirizzato a’ venti che muovono dalle dorate penne ventilanti del giovane figliuolo di Citerea». L’avvicinarsi della sera è espresso così: «I disiosi cavalli del Sole caldi per lo diurno affanno si bagnavano nelle marine acque d’occidente». Altrove è detto: «L’aurora aveva rimossi i notturni fuochi, e Febo avea già rasciutte le brinose erbe». Nasce uno stile pomposo e freddo, che invano l’autore cerca incalorire con le figure rettoriche, in cui è maestro. Spesseggiano le interrogazioni, le esclamazioni, le personificazioni, le apostrofi; il sentimento si sviluppa dalle cose e si pone per sè stesso in una forma ampollosa e pretensiosa. Il prode Lelio è ucciso sul cam-