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immaginazione che uomo d’affari. Era chiamato il poeta. Venuto in Napoli a ventitrè anni, menava vita signorile, bazzicava in corte, usava co’ gentiluomini, spendeva largamente, amoreggiava, scribacchiava, leggicchiava. Dicesi che alla vista della tomba di Virgilio rimase pensoso e sentì la sua vocazione poetica. Fatto è che il buon padre, visto che non se ne potea cavare un mercante, pensò farne un giureconsulto, e lo mise a studiare i canoni, con gran rincrescimento del giovane che chiama sciupato il tempo, mosso a fare il mercante e ad imparare i canoni. Finalmente, libero di sè, si gittò agli studii letterarii, e come portava il tempo, si diè al latino e al greco, e si empì il capo di mitologia e di storia greca e romana. E’ menava la vita, mezzo tra gli studii e i piaceri, spesso viaggiando, non più a mercatare, ma a cercar manoscritti. Narrasi che a’7 aprile del 1341 siasi nella chiesa di San Lorenzo invaghito di Maria, figlia naturale di re Roberto: certo nella corte spensierata e licenziosa della Regina Giovanna non potè prender lezione di buon costume nè di amori platonici. E volse lo studio e l’ingegno a rallegrare col suo spirito la corte e la sua non ingrata Maria, che con nome poetico chiamò Fiammetta. Il Petrarca non era ancora comparso sull’orizzonte: tutto era pieno di Dante, e tra’ suoi più appassionati era il nostro poeta. Frutto della sua ammirazione fu la Vita di Dante, uno de’ suoi lavori giovanili. Ma egli poteva ammirarlo, non comprenderlo; perchè lo spirito di Dante non era in lui. Formatosi fuori della scuola, alieno da ogni seria cultura scolastica e ascetica, profan,o anzi che mistico ne’ sentimenti e nella vita, si foggiò un Dante a sua immagine. Chi vuol conoscere le opinioni e i sentimenti del nostro giovane, legga quel libro e vi troverà già la stoffa, da cui uscì il Decamerone. Nessuna originalità e profondità di pensiero, nessuna sottigliezza di argomentazione; tutto vi è dimostra-