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tela de’ costumi, e specialmente ne’ papi e ne’ chierici che con l’esempio contraddicevano alle loro dottrine. Queste invettive divennero il luogo comune della letteratura, e ne odi l’eco un po’ rettorica ne’ versi eleganti del Petrarca contro l’avara Babilonia. Ma lo spettacolo divenuto abituale e generale non moveva più indignazione; e mentre Caterina ammoniva, e il Petrarca satireggiava, il mondo continuava sua via. Al lato al misticismo vedevi il cinismo. Dirimpetto a Caterina vedevi Giovanna di Napoli.

La corruttela de’ costumi non era negazione ardita delle dottrine cristiane, anzi tutti si tenevano buoni cristiani, ed erano zelantissimi contro gli eretici, e molti facevano all’ultimo penitenza. Ma era qualche cosa di peggio: era indifferenza, un oscurarsi del senso morale. Quel mondo viveva ancora nell’intelletto, non creduto e non combattuto, ozioso, senza alcuna efficacia su’ sentimenti e sulle azioni.

In questa condizione degli spiriti, la coltura dovea avere un effetto deleterio. La parte leggendaria, fantastica, miracolosa di quel mondo dovea parere a quegl’ingegni così svegliati cosa così poco seria, come le prediche dei Frati contraddette dalla vita. Sparisce quel candore infantile di fede anche nelle cose più assurde, che tanto ci alletta negli scrittori antecedenti. Le classi colte cominciano a separarsi dalla plebe e a prendersi spasso della sua credulità. Esser credente era prima un titolo di gloria de’ più forti ingegni. Essere incredulo diviene ora indizio di animo colto.

D’altra parte la maggiore coltura, generando un più vivo sentimento della natura e dell’uomo, dovea affrettare la rovina di un mondo così astratto e così estrinseco alla vita. Il reale disconosciuto dovea prender la sua rivincita; la natura troppo compressa dovea reagire a sua volta. Così di rincontro a quello spiritualismo esa-