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Ecco in che modo rappresenta questo nuovo stato nel suo inno alla Vergine:

Da poi ch’io nacqui in su la riva d’Arno,
Cercando or questa, ora quell’altra parte,
Non è stata mia vita altro che affanno.
Mortal bellezza, atti e parole m’hanno
Tutta ingombrata l’alma,
Non tardar: ch’io son forse all’ultimo anno,
I dì miei più correnti che saetta
Fra miserie e peccati
Sonsene andati; e sol morte ne aspetta.

Quest’uomo che gitta sul passato lo sguardo del disinganno, che chiama la sua vita miseria e peccato, che vede gli anni fuggiti con tanta rapidità senza alcun frutto, ben si promette di fare un altro canzoniere alla Vergine, ma è troppo tardi. Omai son stanco! grida. E se ne’ Trionfi cerca d’ingrandire il suo orizzonte, e uscire da sè e contemplare l’umanità; ciò che ne’ suoi versi ha ancora qualche interesse, è il suo passato che i vecchi hanno il privilegio di evocare, rifarne qualche frammento; è soprattutto il sogno di Laura, tanto imitato da noi.

Chi legge il Canzoniere, non può non ricevere questa impressione, di un mondo astratto, rettorico, sofistico, quale fu foggiato da’ Trovatori, dove appariscono sentimenti più umani e reali e forme più chiare e rilevate, o se vogliamo guardare più alto, di un mondo mistico-scolastico oltreumano, ammesso ancora dall’intelletto, ma repulso dal cuore e condannato dall’immaginazione. Se guardiamo alla riforma, quel mondo ha perduto il suo aspetto simbolico-dottrinale, che lo teneva al di là della vita e dell’arte, e si è umanizzato, è divenuto immagine e sentimento; il tempio gotico si è trasformato in un bel tempietto greco, nobilmente decorato, elegante, con luce