Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/292


― 282 ―

la forza, e vaga in balìa dei flutti scontento e riluttante. La bella unità di Dante, che vedeva la vita nell’armonia dell’intelletto e dell’alto mediante l’amore, è rotta. Qui ci è scompiglio interiore, ribellione, contraddizione:

E veggio il meglio ed al peggior m’appiglio.

La malinconia di Caterina è l’impazienza del morire, di unirsi con Cristo; la malinconia di Dante è la dissonanza fra il mondo divino e la selva oscura, la vita terrena, malinconia piena di forza e di speranza, che si scioglie nell’azione. La malinconia del Petrarca è la coscienza della sua interna dissonanza, e della sua impotenza a conciliarla, malinconia insanabile, perchè il male non è nell’intelletto, è nella volontà non certo ribelle, ma debole e contraddittoria. Per palliare la dissonanza esce in mezzo la sofistica e la rettorica, con le più smaglianti frasi, con le più sottili distinzioni; intervalli di tregua, che fanno risorgere più acuta la coscienza del male. Gli è che il medio evo è già nel suo petto in fermentazione, penetrato di altri elementi, senza che egli abbia una distinta coscienza di questo nuovo stato; accanto al cristiano ascetico ci è l’erudito, il letterato, lo artista, il pagano, l’uomo di mondo con tutti gl’istinti e le tendenze naturali, che vogliono farsi valere. Si forma in lui un essere contraddittorio, come ne’ tempi di transizione, che non è ancora l’uomo nuovo, e non è più l’uomo antico.

La malinconia del Petrarca non è dunque più la malinconia del medio evo, di un mondo formato e trascendente, che rende quaggiù malinconico lo spirito per il suo legame a quel corpo, ma è la malinconia di un mondo nuovo che oscuro ancora alla coscienza si sviluppa in seno al medio evo e ci sta a disagio, e tende a sprigionarsene, e non ha la forza per la resistenza che trova nell’intelletto. L’intelletto appartiene al medio evo, alle