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nella lingua penetra questa mollezza, e le dà una fisonomia abbandonata e musicale, come da uomo che canti e non parli, in uno stato di dolce riposo: qualità spiccata de’ dialetti meridionali.

La parte ghibellina, sconfitta a Benevento, non si rilevò più. Lo nobile Signore Federico e il bennato Re Manfredi dieron luogo ai Papi e agli Angioini, loro fidi. La parte popolana ebbe il dí sopra in Toscana, e la libertà de’ comuni fu assicurata. La vita italiana, mancata nell’Italia meridionale in quella sua forma cavalleresca e feudale, si concentrò in Toscana. E la lingua fu detta toscana, e toscani furon detti i poeti italiani. De’ Siciliani non rimase che questa epigrafe:

Che fur già primi: e quivi eran da sezzo.


II.


I TOSCANI.


Mentre la coltura siciliana si spiegava con tanto splendore e lusso d’immaginazione, e attirava a sè i più chiari ingegni d’Italia, ne’ comuni dell’Italia centrale oscuramente, ma con assiduo lavoro, si formava e puliva il volgare. Centri principali erano Bologna e Firenze, intorno ai quali trovi Lucca, Pistoja, Pisa, Arezzo, Siena, Faenza, Ravenna, Todi, Sarzana, Pavia, Reggio.

Gittando uno sguardo su quelle antichissime rime, non ritrovi la vivacità e la tenerezza meridionale, ma uno stile sano e semplice, lontano da ogni gonfiezza e pretensione, e un volgare già assai più fino, per la proprietà de’ vocaboli ed una grazia non scevra di eleganza.

Trovo una tenzone di Ciacco dall’Anguillara, fiorentino, sullo stesso tema trattato da Ciullo. Nella cantilena di costui hai più varietà e più impeto, e concetti ingegnosi in forma rozza. Nella tenzone di Ciacco tutto è su