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spaccia la stessa rettorica, allegorie, concetti, sottigliezze, spiritose galanterie. Soprattutto tiene molto a questo che tutto il mondo sappia non essere il suo amore sensuale, ma amicizia spirituale, fonte di virtù. Dante chiama infamia l’accusa di avere espresso il suo amore troppo sensualmente, e a cessare da sè l’infamia trasformò Beatrice nella filosofia e scrisse canzoni filosofiche. Ma le continue proteste e dichiarazioni del Petrarca non convincono nessuno; perchè è il corpo di Laura, non come la bella faccia della Sapienza, ma come corpo, che gli scalda l’immaginazione. Laura è modesta, casta, gentile, ornata di ogni virtù; ma sono qualità astratte, non è qui la sua poesia. Ciò che move l’amante e ispira il poeta, è Laura da’ capei biondi, dal collo di latte, dalle guance infocate, da’ sereni occhi, dal dolce viso, la quale egli situa e atteggia in mille maniere e ne cava sempre un nuovo ritratto, che spicca in mezzo ad un bel paesaggio, il verde del campo, la pioggia de’ fiori, l’acqua che mormora, fatta la Natura eco di Laura.

Questo sentimento delle belle forme, della bella donna e della bella Natura, puro di ogni turbamento, è la Musa del Petrarca. Diresti Laura un modello, del quale il pittore sia innamorato, non come uomo, ma come pittore, intento meno a possederlo che a rappresentarlo. E Laura è poco più che un modello, una bella forma serena, posta lì per essere contemplata e distinta, creatura pittorica, non interamente poetica: non è la tale donna nel tale e tale stato dell’animo, ma è la Donna, non velo o simbolo di qualcos’altro, ma la donna, come bella. Non ci è ancora l’individuo; ci è il genere. In quella quietudine dell’aspetto, in quella serenità della forma ci è l’ideale femminile ancora divino, sopra le passioni, fuori degli avvenimenti, non tocco da miseria terrena, che il poeta crederebbe profanare, calandolo in terra e facendolo creatura umana. La chiama una Dea, ed è una Dea;